Caro Papa Francesco, Lei ha detto cose importanti su quanto sta accadendo oggi nel mondo, e in particolare nel teatro mediorientale. Con acutezza ci ha richiamati alla gravità della situazione globale parlando di una “Terza Guerra Mondiale, ma fatta a pezzi”. Di fronte ai tragici e raccapriccianti accadimenti che hanno luogo nei territori conquistati dall’Isis non ha avuto remore ad affermare che “è lecito fermare l’aggressore ingiusto”. Ci sono, però, nell’ intervista da Lei rilasciata durante il suo viaggio di ritorno dalla Corea del Sud, cose che non mi convincono. Capisco che probabilmente può apparire privo di senso misurarsi con le parole di un Pontefice che ha nel proprio cuore e nella propria mente orizzonti complessi, e non tutti terreni, a partire da opinioni meramente terrene e che non hanno al primo posto le preoccupazioni e gli interessi della Chiesa (compresa l’apprensione per il proprio ‘gregge’ ovunque nel mondo). Ma da non credente che riconosce a Lei come capo della Chiesa Cattolica, oltre che come figura morale di grande rilevo, un’indiscutibile autorità – intesa soprattutto come autorevolezza – su milioni e milioni di persone – sento necessario trattare le sue opinioni come opinioni che hanno un’inevitabile ricaduta sulle cose terrene e la vita di noi umani.
Lei sostiene che se è lecito fermare l’aggressore ingiusto, fermare – però – non significa bombardare. Ma se ci si misura con la durezza degli eventi e la complessità della situazione, le strade per fermare l’aggressore appaiono inevitabilmente quelle più opportune per porre fine il prima possibile alla strage, e non si può escludere, dunque, anche il bombardare (come sta appunto avvenendo). D’altro canto, non basta’ fermare’ l’aggressore, esso va fatto arretrare e deve essere sconfitto e neutralizzato perché non possa più perpetrare i suoi orrendi crimini, contro gli uomini, ma anche contro il vivere umano e civile. E questo può significare azioni militari di vario tipo.
Lei afferma, inoltre, che “una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto” ed è in seno alle Nazioni Unite che si deve decidere come fermarlo. Purtroppo, però, le Nazioni Unite hanno lasciato scorrere davanti ai propri occhi troppi orrori nell’impotenza. E pensare di affidarsi a loro oggi, mentre si compiono le stragi, di fatto significa lasciare che queste proseguano impunite. Certo, sarebbe bello che almeno le nazioni occidentali fossero capaci di intervenire all’unisono, che esistesse un’Europa politica in grado di concertare in tempi immediati e con efficacia delle soluzioni insieme agli alleati americani. Ma bisogna confrontarsi con la realtà, e la realtà è che oggi solo gli Stati Uniti hanno la capacità e la volontà politica di intervenire, noi europei, al massimo, Paese per Paese, possiamo andare a rimorchio. Può non piacere, ma è così. E’ legittimo richiamare tutti al dovere di ripensare l’azione nel contesto internazionale, ma non si può prescindere dai dati di fatto attuali.
Questi americani. Mi pare che il sospetto che con la scusa di fermare l’aggressore ingiusto si voglia procedere ad una guerra di conquista lo rivolga a loro. Crede davvero che l’America, l’America del titubante Obama, stia maturando in questa situazione mire imperiali? Gli Stati Uniti hanno compiuto molti errori, ma rimangono l’unica potenza occidentale che si pone fattivamente e non a chiacchiere il problema della sopravvivenza nel globo del sistema di principi che regge le nostre democrazie, democrazie che dal Concilio Vaticano II anche la Chiesa considera come rappresentative del tipo preferibile di regime.
Le minoranze cristiane e non (giustamente lei ha ricordato che tutti sono uguali davanti a Dio, cristiani e non), ma anche i musulmani che non vogliono precipitare nello spaventoso incubo di un oscurantismo che nega la stessa essenza dell’umanità, per ora devono ringraziare l’aviazione statunitense e i curdi armati dagli americani, e devono sperare che Obama sia in grado di tenere fede, in modo efficace, al proposito di “perseguire una strategia a lungo termine contro i militanti dello Stato islamico in Iraq, sostenendo il nuovo governo di Bagdad”.
Poi possiamo parlare dei tanti errori degli americani. Ma intanto se là non ci fossero loro, là ci sarebbe solo l’orrore dell’Isis.
E infine, caro Papa Francesco, comprendo la condivisione del dolore per donne, bambini, uomini che cadono vittime di un conflitto dove le bombe “ammazzano gli innocenti come i colpevoli.” Credo pensi soprattutto al conflitto Israelo-palestinese e a quanto si sta verificando nella striscia di Gaza. Ma magari una parola per stigmatizzare anche chi (Hamas) usa bambini, donne e uomini come strumenti per la propria folle causa, causa che nulla ha a che fare con il benessere del proprio popolo, sarebbe utile, se non altro per aiutare i più a capire cosa davvero sta accadendo in quelle terre. E se comprendo la condivisione di quel dolore, le chiedo cosa dovrebbe fare un governo la cui popolazione è sottoposta allo stillicidio di continui attacchi dal cielo (e dalla terra, attraverso i tunnel) e che si trova a fronteggiare un’azione terroristica che si sviluppa – non casualmente, ma come voluta strategia – in mezzo alla popolazione civile. La compassione verso chi soffre dovrebbe essere di tutti noi, ma chi opera tra le cose terrene talvolta deve compiere delle scelte. E se si ritiene che siano scelte sbagliate, è troppo poco limitarsi a sostenere che si deve cambiare strada per il tanto dolore che quelle scelte provocano. Credo sia anche necessario farsi carico dell’onere di pensare come si può cambiare strada senza mettere a repentaglio la sopravvivenza dello Stato che con quelle scelte si deve misurare e la vita dei suoi cittadini.
Se la compassione deve essere di tutti noi, e compito di un’autorità religiosa e morale richiamarci a quella compassione, non ci si può sottrarre al compito di comprendere e domandarsi cosa sta davvero avvenendo e come concretamente si può e deve agire. E dal mio modestissimo e laicissimo punto di vista, a questo nemmeno un’autorità morale e religiosa dovrebbe sottrarsi. Anch’essa ha una responsabilità, se non altro perché, pur nel suo orizzonte ultraterreno, ha un’influenza sulle cose di questo mondo.