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«Fu esattamente la natura sultanistica del regime di Ceausescu che permise a Iliescu di presentare Ceausescu stesso come l’incarnazione del sistema e così di sottintendere che lui, Iliescu, aveva cambiato completamente il sistema economico e politico decapitando il mostro. (…) L’estremo personalismo e dispotismo di un regime facilita l’“appropriazione” della rivoluzione da parte di gruppi molto vicini al regime. La natura estremamente personalizzata del regime consente ai nuovi leader, nonostante essi abbiano avuto stretti legami col regime, di avanzare la pretesa che il sultano sia responsabile di tutto il male presente nel paese, così dissociandosi dal regime sultanistico e giocando un ruolo cruciale nel suo rovesciamento»

 

Questo passaggio di un bel libro di vari anni fa dei compianti Juan Linz e e Alfred Stepan sui processi di transizione mi è tornato alla mente seguendo le prime mosse del Partito democratico dopo il voto del 4 marzo. Naturalmente si tratta solo di una suggestione, non solo perché lì si parlava di un regime totalitario e qui si parla di un partito in una democrazia, ma perché anche varie dinamiche sono diverse. Ma nella mia mente ha comunque preso forma l’analogia riflettendo sull’ormai probabile (anche se non certa, non si può mai sapere) defenestrazione di Matteo Renzi (il “sultano”) da parte dei vari signorotti del partito. Senonché la quasi totalità di quei signorotti ha appoggiato Renzi sino al momento della clamorosa disfatta del 4 marzo, lo ha difeso e ha difeso il “renzismo”, lo ha benedetto nuovamente alle elezioni del 30 aprile dello scorso anno, quando ormai era evidente anche ad un bambino la sua inadeguatezza (per usare un eufemismo).

Ecco perché leggere che in agenda vi sono le sue dimissioni e non quelle dell’intera segreteria (e a questo proposito va dato atto a Debora Serracchiani di essersi comportata con serietà dimettendosi, unica a farlo, dalla segreteria nazionale del Pd), che il sempreverde Franceschini, la cui componente AreaDem ha rappresentato un pilastro della coalizione dominante renziana,  è tra i kingmaker di nuovi possibili leader (nel caso specifico pare Zingaretti), che un ascaro del renzismo come Orfini, che per difendere personaggi del Giglio Magico come la Boschi ha raggiunto ineguagliabili picchi di surrealismo, rimane al suo posto di Presidente dell’Assemblea nazionale, che – ancora – Martina, il vicesegretario di Renzi, potrebbe essere colui che traghetterà il partito verso un congresso che non si sa quando si terrà, che un altro nome per questo ruolo potrebbe essere nientemeno che il ministro renziano Graziano del Rio, ecco, leggendo tutto questo ho pensato a Ceausescu e ai comunisti corresponsabili del regime, poi ‘ripuliti’ e che si presentarono alle prime elezioni post-Ceausescu in Romania.

Ma ho anche pensato come la mediocrità di quei personaggi, buoni per ogni stagione, se davvero le cose si svolgeranno in questo modo, se davvero ci si limiterà a sostituire Renzi senza che nessun altro della pletora dei suoi ormai ex sostenitori si assuma la responsabilità della disastrosa sconfitta, se – dunque – tutto procederà come nell’era pre-Renzi, ovvero con accordi tra cacicchi, senza che si realizzi un vero rinnovamento  e con una transizione guidata dai responsabili del crollo del Pd, beh allora per il Pd sarà davvero l’ultimo atto. Ma se il Pd è quella roba lì, forse è meglio così. Aspettiamo la direzione di martedì per capire.

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