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“La sinistra arcaica”, QN – Quotidiano Nazionale, 8 novembre 2017, p. 6

Le elezioni siciliane hanno evidenziato come la sinistra rischi di essere messa al margine del gioco politico. In Sicilia è sempre stata minoritaria; tuttavia, anche a livello nazionale nel suo insieme essa non va molto oltre un terzo dei consensi. Ma, soprattutto, appare priva di un progetto che possa rilanciarla come una forza in grado di intercettare quei sentimenti di diffidenza, alienazione e paura che accomunano la nostra con altre società democratiche. Le due sinistre che in Italia si confrontano sono lontane tra loro, ma hanno in comune l’incapacità di pensare a soluzioni nuove di fronte a crisi epocali. Da un lato, vi è una sinistra che pensa di poter imitare il blairismo con vent’anni di ritardo, in un contesto mutato, inseguendo la caricatura di una visione liberale dell’economia, prendendo a prestito le ricette più facili – come la ‘flessibilità’ – e facendo di valori come il merito e la competizione dei feticci senza preoccuparsi di come possano declinarsi nel mondo reale. Dall’altro, vi è la sinistra che si pretende la vera sinistra, ma che fatica ad accettare l’idea che lo sviluppo derivi soprattutto da un efficace funzionamento di un mercato ben regolato e non soffocato dallo Stato. Questa seconda sinistra si è espressa ora attraverso un documento, dove alla consapevolezza della gravità dei problemi si unisce, però, il richiamo a un passato che non può tornare, come un ormai non più sostenibile welfare universalistico o l’intervento pubblico in economia come pilastro dello sviluppo. Tra effimero nuovismo e pesanti arcaismi la sinistra lascia spazio alla protesta della quale si nutrono furbi avventurieri. Eppure, dai tempi della rivoluzione industriale, forse mai come ora si è sentita la necessità di una sinistra capace di difendere i deboli in un mondo che cambia.

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