Da QN – Quotidiano Nazionale – Il Resto del Carlino
3 Ottobre 2017, p. 9.
La notte del tentato golpe militare del febbraio 1981 Re Juan Carlos apparve in televisione, con la sua divisa da comandante supremo, per schierarsi contro i golpisti che stavano tenendo in ostaggio il Congresso. Quell’atto segnò la liquidazione del colpo di mano. Trentasei anni dopo, di fronte a un atto eversivo del governo della Comunità autonoma di Catalogna, il figlio Felipe appare invece piuttosto silenzioso. È vero che a metà settembre si era espresso contro il referendum per l’indipendenza dichiarato illegale dal Tribunal Constitucional. Tuttavia, nel giorno in cui il referendum si è (comunque) tenuto, con le violenze e le tensioni che lo hanno contrassegnato, e sino ad ora, Re Felipe di Spagna non ha ritenuto di doversi rivolgere ai cittadini spagnoli. Ma è in gioco l’unità della Spagna e chi altri, se non colui che incarna il simbolo più alto di quella unità, dovrebbe intervenire in prima persona?
La sua posizione non è certo semplice e nemmeno è semplice comprendere come agire in questo frangente. Banalmente, però, pensiamo che dovrebbe comportarsi da Re di Spagna; di Spagna, non di un coacervo di comunità sovrane, libere di andarsene quando vogliono.
Tra gli osservatori vi è chi ha invocato per lui un ruolo di mediazione, per trovare una via di uscita onorevole per tutte le parti in gioco. Tuttavia è bene ricordare che, per quanti compromessi e mediazioni si possano immaginare, il confronto non è tra due governi ugualmente sovrani – come pare emergere da certi commenti.
La Catalogna è una Géneralitat che fa parte dello Stato spagnolo, non ha alcuna sovranità e sovrana può diventare solo attraverso un atto eversivo che ponga fine allo Stato spagnolo così com’è oggi. È quanto Puigdemont afferma di voler realizzare, avvalendosi di una truffaldina legittimità basata un referendum illegale dove, per sovrappiù, si sono espressi per l’indipendenza meno del 40% dei cittadini della Catalogna (è significativo il fatto che nell’infografica del sito del governo catalano la partecipazione non appaia).
Il problema non è, però, solo spagnolo. Oggi la Catalogna, e domani? Arginare le spinte disgregatrici dei nazionalismi o particolarismi sub-nazionali si palesa sempre di più come una necessità per mantenere in piedi il sistema degli Stati sul quale poggia la costruzione europea. Per questo sarebbe necessario un intervento più deciso dei capi di governo dei Paesi dell’Unione e dell’Unione stessa. Per ora Rajoy ha ricevuto il sostegno di Merkel e Macron e quello, balbettante, dei vertici europei. Ma nessun chiaro messaggio è stato lanciato, come, ad esempio, l’indisponibilità ad accogliere un’eventuale Catalogna secessionista come Stato indipendente nell’Unione. Solo un freno di questa portata potrebbe costituire uno strumento per non aprire il vaso di Pandora delle pretese particolaristiche e delle disgregazioni. Ma l’Europa è quella che è, e anche gli attuali leader di governo non paiono pronti ad affrontare sfide epocali. Si tenteranno forse mediazioni.
Ma la storia ci insegna che a ogni concessione di autonomia seguono nuove richieste. Il populismo è fatto così, rimanda a sempre nuovi orizzonti e nemici, per riempire le piazze. E questi nazionalismi sub-statali altro non sono che forme di populismo, molto difficili da gestire, potenzialmente distruttivi. Certo, non affrontabili con silenzi e timidezze, sperando che qualche compromesso oggi, magari con decisivi cedimenti, risolva i problemi per sempre. La storia ci insegna che non è così. Anzi, è piuttosto il contrario.
[Sofia Ventura]