“L’alternativa è tra il cambiamento e lo status quo. Se voti No significa che ti va bene la situazione così com’è. Se voti No vuol dire che non vuoi cambiare”. Questo è uno dei frame all’interno del quale molti sostenitori del Sì, a partire dai proponenti la legge di riforma costituzionale Renzi e Boschi, cercano di “inquadrare” il confronto, costringendo ogni possibile ragionamento dentro alla dicotomia cambiamento (buono)/ conservazione (cattiva).
Ma si tratta, appunto, di un modo di forzare il ragionamento funzionale alla propaganda, molto efficace, ma fallace. Vediamo perché.
“Voti No?”
“Sì”
“Allora non vuoi cambiare nulla”
“Non in questo modo”
“Ma se voti No tutto rimane come prima”
“Ma io voglio un cambiamento diverso”
“Ma nel momento in cui voti No, con il tuo voto fai rimanere le cose come stanno”
“Sì, ma poi dopo voglio cambiare, anche se in modo diverso”
“Ma tu sei davanti ad un’alternativa, o Sì, o No. Se voti No dice che preferisci lo status quo”
“A me non piace lo status quo”
“Ma dicendo No voti a favore dello status quo, quindi lo preferisci”
“Ma se voto Sì adesso pregiudico in futuro soluzioni che considero davvero efficaci, non come le soluzioni della riforma”
“Ma non capisci, nel momento in cui dici No tu hai comunque fatto una scelta per lo status quo!”
Sembra un ragionamento stringente. In effetti, è vero che al tempo “t” ci viene proposto un cambiamento e noi dicendo No in quel preciso momento e a quel preciso progetto facciamo in modo che al tempo “t” la situazione non muti. L’astuta camicia di forza (al pensiero) che si tenta di imporre vorrebbe costringerci per forza a preferire, in un dato istante, una situazione all’altra. Ma, per ipotesi, potrei anche preferire leggermente il cambiamento proposto allo status quo, considerando però entrambi sotto la soglia di un livello soddisfacente, ma al tempo stesso ritenere che il cambiamento oggi, pregiudichi certi sviluppi domani che non sono pregiudicati invece dal mantenimento della situazione oggi così com’è. Questo perché l’attuazione di certe scelte oggi produce una situazione istituzionale di fatto che condizionerà le scelte successive (o inibirà future scelte sul tema). E’ il tema della vischiosità istituzionale.
Dunque, se non attribuisco un valore assolutamente positivo allo status quo, tale per cui lo status quo per me ha in ogni caso un valore maggiore rispetto a qualunque cambiamento, o un valore assolutamente positivo al cambiamento, tale per cui qualunque cambiamento è per me soddisfacente in termini assoluti, la scelta sarà allora ponderata tra molteplici fattori e non sarà, quindi, tra il valore a che attribuisco ad A (status quo) e il valore b che attribuisco a B (nuova situazione). I miei due termini di paragone saranno piuttosto: a (inteso come valore che attribuisco al funzionamento del sistema così com’è) sommato al prodotto tra a, x (il valore che attribuisco alla possibilità che non sia possibile rivedere la costituzione in un tempo t+1) e y (il valore che attribuisco alla possibilità che i contenuti di un nuovo assetto siano condizionati dall’assetto precedente a); b (inteso come il valore che attribuisco al funzionamento del sistema così come ritengo sarà nella nuova situazione) sommato al prodotto tra b, z (il valore che attribuisco alla probabilità che la vittoria del Sì inibisca la possibilità di altri cambiamenti in un tempo t+1) e k (il valore che attribuisco alla capacità della nuova situazione di condizionare i contenuti di future innovazione).
Dunque, la scelta non è tra A e B, tra status quo e cambiamento, ma tra una ponderazione di più elementi, una ponderazione tra il valore che attribuiamo ad A e B al tempo t, con il valore che attribuiamo alla probabilità che si possano verificare certe eventi e condizioni al in tempi successivi.
Dunque le due scelte si presentano così:
a + (axy) / b + (bzk)
non: A o B
Ad esempio, se utilizzo per misurare la mia preferenza per i due sistemi in quanto tali una scala da -1 a +1 e per misurare le probabilità che si verifichino determinate situazioni un range da 0 (nessuna possibilità) a 1(100% di possibilità), pongo allora a=-0,2; x =0,4; y=0,3; b=-0,1; z=0,6; k=0,6
Avrò:
-0,2 + (-0,2 x 0,4 x 0,3) = -0,224 SCELTA PER IL NO
-0,18 + (-0,18 x 0,6 x 0,6) = -0,2448 SCELTA PER IL SI’
I due prodotti dipenderanno dunque da una serie di valutazioni. Nel caso specifico, sono state valutate le due situazioni (funzionamento del sistema vigente e probabile funzionamento del sistema da introdurre) come quasi equivalenti, con una minima preferenza per la probabile situazione futura. Al tempo stesso si è valutata la forza del sistema vigente sugli sviluppi futuri meno rilevante della forza del nuovo sistema se approvato sempre sugli sviluppi futuri (ad esempio perché si è ritenuto che la “nuova” legittimazione produca condizionamenti più potenti e al tempo stesso che il cambiamento possa essere percepito come sufficiente e quindi da ritenersi conclusivo). Queste ultime valutazioni sulle “probabilità” del condizionamento dell’uno e dell’altro assetto portano il nostro decisore a scegliere per il No, a partire da valutazioni comunque negative sia dello status quo, sia del rinnovamento.
In conclusione, l’affermazione che la scelta per il No comporti una preferenza per lo status quo rispetto alla nuova situazione è priva di senso, nella misura in cui la preferenza si forma valutando possibili configurazioni alternative, dove, ad esempio, il non cambiamento oggi rende possibile il cambiamento domani o il cambiamento oggi inibirà ogni altro cambiamento domani e così via. Nel nostro esempio, il decisore, pur attribuendo un valore minimamente superiore all’ipotetico funzionamento post riforma, sceglie il No non perché preferisca lo status quo – che non preferisce – ma perché valuta che esista una buona probabilità che si possa realizzare una riforma più soddisfacente dopo aver detto No a quella proposta e, al tempo stesso, valuta molto probabile che l’approvazione della soluzione proposta – da lui comunque considerata insoddisfacente – non consenta poi di rimettervi mano. Se poi si vuole sostenere che il voto per il No “di fatto” porta a scegliere lo status quo, ciò è vero nell’istante del voto, ma non è possibile dimostrare che invece proprio quell’atto, in un tempo più esteso, non porterà ad un mutamento dello status quo di diversa natura.
Fare di questa affermazione oggetto di propaganda è puerile, e spesso cela solo il fatto che gli argomenti a favore della riforma in quanto tale sono deboli assai.
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Nel suo ragionamento l’autore ha dimentica varie variabili non indifferenti al cambiamento. Ne cito solo 2, ma ce ne sarebbero molte altre:
– la variabile “t” del tempo necessario per una riforma (come minimo t> di 2 anni)
– una variabile “i” di “incertezza” politica: chi ci dice se ci sarà la volontà politica di cambiare?
Messo così il suo ragionamento è molto povero di argomenti, senza nemmeno entrare nel merito del quesito referendario, tra l’altro.
Saluti
Luca
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Quelle variabili sono incorporate nelle valutazioni del decisore. Il quesito in quel discorso non era rilevante, e comunque le faccio notare che sul merito del quesito sono entrata in diversi post di questo blog.
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