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Del titolo della legge di riforma costituzionale si sapeva già, ovviamente. Non erano mancati interventi di studiosi che ne avevano rilevato l’originalità, per usare un eufemismo, in virtù del fatto che più che descrivere in modo neutrale il tipo di intervento sulla costituzione, se ne sottolineavano alcune – e non altre – conseguenze (come il contenimento dei costi o la riduzione dei parlamentari) ritenute evidentemente rilevanti dal legislatore per legittimare il proprio operato.

Poi Renzi ha mostrato a Otto ½ il facsimile della scheda del referendum (prima ancora che il governo avesse stabilito la data, vabbè) contenente il quesito, contenente a sua volta il titolo, ed è scoppiata la bagarre. E’ vero, si sapeva e molti sono caduti dalle nuvole. Bene. Il problema è che questa motivazione è stata utilizzata per tacitare ogni tentativo di discussione sul merito della questione, sul fatto che il titolo del disegno di legge presentato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Ministro per i rapporti del parlamento Boschi nell’aprile 2014 – e ora riversato nel quesito – più che una mera descrizione o un sobrio riferimento alle modifiche alla Seconda parte della costituzione (come era stato ad esempio nel 2001 e nel 2006) , fosse in realtà una pillola di storytelling, di presentazione “inquadrata”, di presentazione parziale (per esempio non si fa cenno all’elezione del Presidente della Repbblica), volta a mettere in evidenza anche elementi non direttamente rinvenibili nella riforma (c’è forse una norma che prescrive il contenimento dei costi per determinate istituzioni?) , ma piuttosto conseguenze considerate suscettibili di trovare il consenso del senso comune (ad esempio anti-casta) . E poi la sottolineatura di elementi di per sé marginali nella prospettiva di una riforma delle istituzioni, ma ghiotti per il senso comune anti-politico: la complessa riforma del bicameralismo, definita con un generico “superamento del bicameralismo paritario” è ridotta alla diminuzione dei parlamentari.

Che si tratti di storytelling, di una formulazione “valutativa” e “pubblicitaria”, è evidente, e la controprova è che con lo stesso procedimento si sarebbero potuti inventare altri titoli, con effetti diversi. Ci ha provato ad esempio Alessandro Gilioli sul suo blog:

“Creazione di un nuovo Senato non eletto dai cittadini
Doppio incarico di senatori e consiglieri regionali
Creazione di nuovi procedimenti tra Camera e Senato fino un massimo di dieci per l’approvazione delle leggi
Riduzione dell’autonomia delle regioni
Triplicazione del numero delle firme necessarie per le proposte di legge di iniziativa popolare?”

Ci provo anch’io:

“Trasformazione del bicameralismo paritario in bicameralismo differenziato con introduzione di nuovi procedimenti legislativi e un più complesso sistema delle fonti”,“Creazione di un senato formato da sindaci e consiglieri regionali con modalità ancora da definire, senza soppressione della Conferenza Stato-Regioni e con mantenimento dello stesso numero di deputati”,“Centralizzazione di competenze a favore dello Stato e possibilità di intervento del medesimo sulle materie regionali anche contro l’avviso del senato”

Suonano un po’ diversi, no? Eppure si può dire che quanto scritto sia falso?

A prescindere dalla previsione o meno della confluenza di quel titolo in un futuro quesito referendario, è evidente che esso esprime quell’approccio alla riforma costituzionale fortemente legato all’obiettivo di “rappresentazione” di un cambiamento sensibile agli umori popolari. Quel titolo si inserisce, dunque, nella più generale propaganda a favore della riforma (che, ripetiamo, riflette il modo in cui si è proceduto a dare sostanza alla riforma) e nella ancor più generale narrazione del “cambiamento”, un cambiamento che è stato negli ultimi due anni e mezzo raccontato continuamente strizzando l’occhio a un senso comune molto simile a quello solleticato dalle campagne del M5S.

Lecito? Per tanti sì, tanti ritengono che il gioco politico, la propaganda, l’uso spregiudicato della comunicazione possa propagarsi ovunque, sino ad arrivare, attraverso un testo “orientato”, ad un quesito di un referendum costituzionale. Il fine giustifica i mezzi e se le regole del gioco democratico vengono alterate, che importa? L’importante è il risultato qui ed ora. E d’altro canto, quel testo orientato è stato utilizzato dal Presidente del Consiglio per sostenere il Sì in una trasmissione televisiva (e subito prima su twitter) e a seguire i suoi comunicatori e supporter stanno facendo altrettanto.

 

Tutto bene Madama la Marchesa? No, e almeno diciamolo!

p.s. Sulle “regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi” disattese rimando al post di Vitalba Azzolini

 

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