Comincio oggi (dopo due giorni di vacanza senza far niente bisogna pure che scriva qualcosa) una serie di riflessioni sul referendum costituzionale che di qui a … non sappiamo ancora … vorrei proporre a chi avrà voglia di leggermi sulla riforma costituzionale, dopo il primo intervento sul Quotidiano Nazionale.
E comincio da una breve riflessione a partire dall’intervista di Arturo Parisi su La Stampa. Parisi, studioso e intellettuale di valore e rigore (come ce ne sono pochissimi in giro), ha voluto vedere il bicchiere mezzo pieno e – pur consapevole dei limiti di questa riforma – spiega che voterà Sì, invitando però i “riformatori” di oggi ad essere consapevoli del percorso che li ha preceduti. Infatti, la ragione principale per cui voterà Sì, dice, è perché riconosce nella riforma le principali tesi dell’Ulivo e, soprattutto, avverte nella riforma l’eco di fondo dell’ambizione di quel progetto. Quell’ambizione di una democrazia che decide, che – mi si consenta di dire, un po’ tardivamente rispetto alla cultura liberale, ma vabbè – la sinistra con Prodi fece finalmente propria. Bene.
Il problema, e qui vengo alla riforma odierna, è che temo che nel progetto attuale davvero non si colga più di una pallida e tremolante eco dell’ambizione di una democrazia decidente. Affronterò la questione nelle prossime puntate, mi limito qui al riferimento alla tesi n.4 citata dallo stesso Parisi:
Tesi n° 4 |
Una Camera delle Regioni
La realizzazione di un sistema di ispirazione federale richiede un cambiamento della struttura del Parlamento.
Il Senato dovrà essere trasformato in una Camera delle Regioni, composta da esponenti delle istituzioni regionali che conservino le cariche locali e possano quindi esprimere il punto di vista e le esigenze della regione di provenienza.
Il numero dei Senatori (che devono essere e restare esponenti delle istituzioni regionali) dipenderà dalla popolazione delle Regioni stesse, con correttivi idonei a garantire le Regioni più piccole.
Le delibere della Camera delle Regioni saranno prese non con la sola maggioranza dei votanti, ma anche con la maggioranza delle Regioni rappresentate.
I poteri della Camera delle Regioni saranno diversi da quelli dell’attuale Senato, che oggi semplicemente duplica quelli della Camera dei Deputati. Alla Camera dei Deputati sarà riservato il voto di fiducia al Governo. Il potere legislativo verrà esercitato dalla Camera delle Regioni per la deliberazione delle sole leggi che interessano le Regioni, oltre alle leggi costituzionali.
(http://www.perlulivo.it/radici/vittorieelettorali/programma/tesi/tesi04.html)
Naturalmente non ritengo che le tesi dell’Ulivo siano le tavole della legge, semplicemente vorrei cercare di capire se sul punto indicato del bicameralismo – colonna portante della riforma e punto forte della comunicazione a favore del Sì – vi è davvero coerenza tra quelle tesi e le scelte recentemente compiute.
Subito, un elemento salta all’occhio: la premessa della Camera delle Regioni è la realizzazione di un sistema di ispirazione federale. Peccato che la recente riforma abbia realizzato un significativo accentramento, lasciando aperta la strada ad ulteriori accentramenti (e conflitti, ma questa è altra storia ancora …), tra l’altro nella totale assenza di un dibattito e una riflessione seria su che tipo di forma di Stato si vuole per l’Italia. La contraddizione è stridente: mentre l’approccio della Tesi n. 4 era coerente (federalizzazione e quindi camera territoriale), l’approccio utilizzato per la riforma attuale è un non sense: accentramento e quindi camera territoriale!
Veniamo, poi, alla composizione del Senato. Dalle parole un po’ vaghe della tesi n. 4 si intuisce che si aveva, allora, in mente l’esperienza del Bundesrat, dal momento che si fa riferimento a “esponenti delle istituzioni regionali” che possano esprimere le esigenze della regione di provenienza (in Germania i membri del Bundesrat sono nominati dagli esecutivi dei lander). Ebbene, nel caso della riforma approvata se e in che modo i consiglieri regionali eletti in seno al consiglio regionale stesso possano esprimere la volontà della regione non è dato sapere, dal momento che non si è ancora deciso come saranno individuati, e soprattutto si sono voluti contemperare capre e cavoli rimanendo sospesi tra una legittimazione del consiglio (ma non della giunta, come sarebbe stato più semplice) e dei cittadini, e non è dato sapere se i consiglieri esprimeranno solo la maggioranza politica della regione o anche l’opposizione. E non possiamo escludere che le norme che prima o poi regoleranno questa materia (se dovesse vincere il Sì) non scioglieranno affatto questi nodi.
Aggiungiamo che la tesi n. 4 faceva una scelta chiara a favore della rappresentanza regionale – coerentemente, come si è detto, con l’idea della federalizzazione – , mentre il testo che dovremo votare pretende di unire la rappresentanza regionale a quella locale, senza che si capisca esattamente quale sia il principio che sta dietro a questa scelta, che tipo di rappresentanza effettivamente si voglia garantire. Peraltro, la rappresentanza locale viene realizzata in modo totalmente simbolico, senza che si crei alcun legame effettivo tra l’ambito degli interessi che dovrebbero essere rappresentati e il rappresentante: che legame possiamo immaginare si crei, cioè, tra un sindaco eletto per regione dal Consiglio regionale (cioè, un rappresentante degli interessi del livello comunale eletto da consiglieri regionali!) e i comuni della regione?
Infine, le competenze legislative. La tesi dell’Ulivo parlava di un Senato competente per le leggi che interessano le regioni, oltre quelle costituzionali. Personalmente ho un’idea diversa di Senato (anche camera di riflessione e perfezionamento) e questa soluzione non mi affascina, tuttavia è una soluzione coerente con un’idea di ruolo del Senato. Ecco, vediamo invece che il Senato così come disegnato dalla riforma non interviene affatto sulle leggi che interessano le Regioni. Interviene su leggi “tipiche”, ovvero che hanno a che fare con l’organizzazione dei poteri a vari livelli, ma non su “materie” di interesse regionale. Se la Camera delibera su materie sulle quali, per esempio, lo Stato possiede poteri generali di intervento (disposizioni “generali e comuni”) che incidono su materie sulle quali rimangono competenti le regioni, (ad esempio sanità, cultura, turismo), il processo legislativo sarà quello “normale”, ovvero semplicemente “partecipato”, con un ruolo marginale del Senato. Il che può piacere o meno, ma non si può dire che il Senato si occupi delle materie che interessano le Regioni.
Ecco, mi pare che sostenere che in tema di bicameralismo vi sia continuità tra le tesi dell’Ulivo e la riforma sia un tantino un wishful thinking. C’è un orecchiamento. Come un orecchiamento si coglie in tutta la riforma. Ma non c’è la consapevole adozione di una visione (né rispetto alle tesi dell’Ulivo, né ad altro), c’è un cherry picking, un prendere un po’ qua, un po’ la, con la traduzione in norme che “danno l’idea” , e poco più.