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Ci sono momenti in cui essere quello che sei è molto difficile e vedi solo prezzi da pagare. In quei momenti ci sono storie grandi che ti fanno comprendere come puoi tenere duro e mantenerti salda nella tua piccola storia. Una di quelle storie è quella di Hannah Arendt. Per QN – Il Resto del Carlino ho scritto alcune righe su di lei per l’8 marzo e mi pare questa sera, per me, il momento giusto di rammentarle a me stessa e a chi ha voglia di leggerle.

 

“Hannah Arendt non rappresenta “il” femminile, nessuna donna può farlo. Eppure rappresenta una potenzialità esplosiva del femminile: lo sguardo che può gettare una donna sul mondo e la potenza con la quale può esprimere e diffondere quello sguardo. La capacità di una comprensione profonda dei fenomeni, che connette l’intelletto con l’intuito, che la portò a cogliere l’essenza dell’esperienza totalitaria, che ci guida ancora oggi. Il coraggio di esprimere la propria interpretazione dei fenomeni, anche quando va controcorrente e ferisce sensibilità: la lettura del “male” come banale e mediocre, che tanta avversione le portò, anche all’interno del mondo ebraico, lei, ebrea. Non ebbe figli, disse che c’è chi fa figli e chi fa libri; in realtà non è così, ma con queste parole coglieva il modo in cui una donna può stare nel mondo, comprenderlo e raccontarlo, in virtù della sua potenzialità di essere madre: partendo dalla comprensione dentro di sé, uscire da sé e farlo incurante delle conseguenze. Per amore del mondo, che cogliamo nel suo sguardo.”

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