Mi ero persa l’appello lanciato alla fine di luglio dalla rivista di storia critica (così si definisce) Historia Magistra, sottoscritto da numerosi firmatari, tra i quali molti professori ordinari e studiosi di varie discipline, in particolare umanistiche, con il quale si chiede una Norimberga per lo Stato di Israele.
E’ sconvolgente. Oltre alle solite accuse di genocidio, un termine che andrebbe utilizzato quando il significato aderisce alla realtà empirica e non semplicemente come clava ideologica – e che ciò venga fatto da studiosi rende la cosa ancora più grave – l’appello utilizza una visione parziale, omissiva, banale, semplicistica, mistificante della storia (e della cronaca): se la storia deve essere maestra, quella storia dovrebbe essere ricostruita con rigore scientifico e onestà, altrimenti cosa mai può insegnare?
Questi signori senza dubbi e evidentemente sicuri di essere portatori di una superiore Verità lanciano i loro strali contro Israele con un paradossale J’accuse.
Noi accusiamo, così si apre l’appello, evocando esplicitamente il j’accuse di Zola del celeberrimo caso Dreyfus, l’ufficiale ebreo francese ingiustamente accusato di tradimento e condannato ai lavori forzati negli anni Novanta del XIX secolo. Chissà se gli estensori di cotanto sdegno anti-israeliano hanno riflettuto sul fatto che proprio il caso Dreyfus fu tra gli eventi dell’epoca che più sconvolsero il padre del sionismo moderno, Theodor Herzl, che di fronte non solo ai pogrom di quel periodo, ma all’ondata di antisemitismo che emerse in occasione di quella vicenda nella Francia figlia della Rivoluzione e che aveva dato il la all’emancipazione degli Ebrei dell’Europa occidentale, avvertì ormai l’inevitabile urgenza di trovare una patria per il popolo ebraico, non più sicuro in ogni dove. Ma tant’è.
Ma il documento è sconvolgente non solo per questo. Esso si scaglia contro Israele come Stato e come popolo (“la società israeliana nel suo complesso che, avvelenata dallo sciovinismo e dal razzismo, mostra indifferenza o peggio nei confronti della tragedia del popolo palestinese e fa pesare una grave minaccia sulla stessa minoranza araba”). E come Stato negando la sua legittimità ad esistere (“un intero Stato, – e i suoi complici – : il suo passato, il suo presente e il suo presumibile futuro” ), a partire da quella lettura della storia di cui si diceva, degna di un pamphlet di un qualche gruppuscolo di fascistelli. Naturalmente, questa realtà malefica che infesta il mondo arabo, sul quale non si ritiene di fare alcun commento, ha dei complici, dalle autorità cristiane troppo timide ai – udite, udite – “gruppi dirigenti delle Comunità israelitiche sparse per il mondo che spesso diventano complici del governo di Tel Aviv”. Accanto a loro “la classe politica, imprenditoriale e finanziaria degli Stati Uniti d’America” e “il sistema dei media occidentale, del tutto succube a Stati Uniti e Israele” (probabilmente preferiscono quello del mondo arabo dove non mancano quanti ancora spacciano per un documento autentico il famoso falso fabbricato dalla russia zarista I protocolli dei Savi di Sion”); si è troppo maligni se leggendo queste parole vengono in mente le potenze pluto-giudaico-massoniche?
Ma ovviamente gli autori di cotanto sdegno non sono antisemiti. Loro condannano l’antisemitismo, lo dicono esplicitamente, che non sia mai che qualcuno fraintenda. E così ci spiegano che esistono anche ebrei buoni, quelli che si emendano evidentemente dal loro peccato originale condannando Israele (“mentre esprimiamo la nostra solidarietà e ammirazione per le personalità della cultura e cittadini e cittadine del mondo ebraico che, nonostante il clima di intimidazione, condannano le infamie inflitte al popolo palestinese”).
Non sono antisemiti, certo. Chiedono una Norimberga per Israele, ovvero richiamano quel tribunale dei vincitori che mise sotto processi gli autori della Shoah, dello sterminio di sei milioni di ebrei europei in pochissimi anni, e si appropriano del j’accuse di Zola. Banalizzano così la persecuzione degli ebrei e lo sterminio degli ebrei d’Europa, sottraendo al popolo ebraico la propria storia e facendo di essa un’arma degli eredi, come ha scritto acutamente qualcuno, dei loro persecutori (ovvero noi ‘gentili’ d’Occidente, che ancora fatichiamo a fare i conti con il cancro dell’antisemitismo che ci portiamo dietro da secoli e secoli).
Non sono anti-semiti? Giudichi ciascuno cosa sono. Certo, come intellettuali lasciano molto a desiderare.
Gli ebrei gasati nei campi di concentramento non lanciavano razzi, né si facevano esplodere sugli autobus o nei mercati affollati di gente, né tantomeno desideravano l’annientamento della Germania o non ne riconoscevano il diritto ad esistere. Stupisce davvero che anche personalità del mondo della cultura continuino ad avere un atteggiamento da tifoseria più estremista nei confronti della questione israelo-palestinese. Non si può continuare a non distinguere tra il popolo di Israele e il governo di Israele, non si può dimenticare che Israele è una democrazia , l’ultima enclave della democrazia circondata da Paesi che ne vogliono la distruzione e che non ne riconoscono l’esistenza. Non si può non considerare la propaganda di Hamas che spesso e volentieri ha spacciato per palestinesi morti di altre guerre. Non si può non riconoscere la vigliaccheria con la quale lancia i razzi, tutti i giorni, vicino obbiettivi civili, ben sapendo quale sarà la risposta. Non si può non pensare a chi vive ogni giorno come se fosse l’ultimo, perché può suonare una sirena e arrivare un missile, può salire sull’autobus o andare al ristorante e saltare per colpa di un kamikaze, senza avviso.Hamas è un organizzazione terroristica, lo sostengono anche i palestinesi esuli in Giordania, molto più numerosi di quelli che vivono a Gaza o a West Bank. La colpa del popolo di Israele non può essere quella di non morire sotto i razzi di Hamas perché, dovendo difendersi, ha sviluppato tecnologie. Ci sono due popoli su un territorio che è stato l’alibi dell’occidente. Quei due popoli hanno diritto di vivere in pace e Europa, Usa e Paesi arabi moderati (che non hanno alcuna voglia di risolvere la questione palestinese), devono fare di più. Nessuno nega le responsabilità del governo di Israele ma si dimentica che tutta la vicenda è iniziata col rapimento e l’uccisione di tre giovani ebrei.
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Non mi meraviglia che ti fossi persa l’appello: ne sfornano talmente tante che neanche Pico della Mirandola riuscirebbe a seguirle tutte.
Noi comunque, anche se siamo pochi, teniamo duro!
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Ho letto anche l’altro articolo di Sofia Ventura ( Perché non possiamo non dirci sionisti) e mi sono francamente meravigliata che una studiosa accusi gli altri di ignoranza dei fatti, quando è lei a fare una ricostruzione quanto mai banale e omissiva della nascita e della vita di Israele. Le farei almeno queste due domande: perché se non sono stati ggli israeliani a cacciare i palestinesi, ma questi se ne sono andati spontaneamente ( e in parte è stato così) non gli hanno poi mai permesso di ritornare? quale altra parola diversa da colonialismo si può usare per la costruzione di colonie in territori occupati, quando questo per giunta va contro le regole internazionali?
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