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Il mio amico Giovanni Orsina, oltre che studioso di valore anche persona amabile e spiritosa, ha scritto una lettera aperta al nostro beneamato presidente del Consiglio identificandosi nei simpatici, ma invisi a Renzi, “gufi”.

Nell’articolo, pubblicato sul giornale con il quale collabora, la Stampa, Orsina tocca con acume alcuni dei nodi del rapporto tra studiosi e opinionisti, da un lato, e politica e potere, dall’altro.

Non ha senso proporre qui un sunto. L’articolo va letto. Punto. Ma il motivo per cui l’ho richiamato è che sono stata molto colpita da un passaggio. Scrive Orsina:

Veniamo così alla terza questione: le nostre responsabilità di professori, editorialisti, opinionisti per com’è combinata oggi l’Italia. Responsabilità enormi, son d’accordo con lei. Perché, però? Perché non siamo stati sempre onesti e seri, perché non siamo rimasti «al di sopra della mischia» (son cent’anni dalla Grande Guerra, e giova citare il Romain Rolland del 1915), perché abbiamo piegato le nostre analisi alle urgenze della politica, non solo partecipando allo scontro apocalittico fra berlusconiani e antiberlusconiani ma contribuendo a renderlo più apocalittico ancora. Perché ci siamo intruppati nei cortei dei pifferai di Hamelin di questa parte o di quell’altra. Il nostro «cambiare verso», ora che lo scontro è finito, può consistere o nel metterci in marcia al seguito d’un nuovo pifferaio (e non c’è nemmeno l’imbarazzo della scelta, al momento), oppure nel rimetterci a fare il nostro lavoro, onestamente e seriamente. Qual è secondo lei l’opzione migliore per il Paese? 

Per chi la politica la osserva, la studia, la racconta e cerca di spiegarla soprattutto per passione, non perché è un oggetto molto in voga, il tema del distacco o del coinvolgimento rispetto all’oggetto studiato è molto sensibile. Con Giovanni ho condiviso momenti del mio percorso e certamente una passione per la politica come strumento per costruire una “buona repubblica” e mi ritrovo molto nella sua riflessione e anche nella critica che rivolge ad un “noi” con il quale chi fa il nostro mestiere deve misurarsi. Né Giovanni, né io, né altri colleghi (ma altri ancora forse sì), quando ci siamo lasciati trascinare “nella mischia” lo abbiamo fatto per opportunismo, così come con disonestà intellettuale. Critici e polemici per attitudine, giovani adulti al tramonto della Prima Repubblica e avendo vissuto la propria vita lavorativa e intellettuale nella lunga e assurda transizione italiana, aspettando il Godot di un Paese normale, alla ricerca di un meno peggio che lasciasse qualche speranza, abbiamo pubblicamente scommesso un po’ precipitosamente su cavalli che un occhio più disincantato avrebbe forse guardato subito con diffidenza. Anche se non abbiamo certo il rammarico di aver lasciato perdere altre strade migliori, ché quelle strade proprio non si sono mai presentate.

Forse “pifferai” non lo siamo mai stati, perché il piffero non abbiamo mai imparato a suonarlo, ma spesi per aiutare a rendere concreta un’occasione politica, sì. Ma è stato inutile. Perché il cavallo troppo brocco, anche se in mezzo ad altri più brocchi di lui; nessuno comunque capace di arrivare al traguardo, il traguardo di un Paese capace di costruirsi il futuro. E che era brocco avremmo dovuto capirlo prima, ogni volta che ci siamo lanciati, ma non abbiamo forse voluto ascoltare abbastanza il nostro cervello e ci siamo lasciati riscaldare il cuore dalla speranza.

Ma ora è davvero arrivato il momento del #cambiaverso anche per noi, come scrive Orsina. Su Twitter qualcuno mi ha chiesto, dopo il mio precedente post, “quale sarà il nuovo cavallo”. “Ora si va a piedi”, ho risposto, istintivamente. Non perché non creda nella necessità di una vera leadership politica per questo Paese (condizione necessaria, ancorché ampiamente insufficiente), ma perché non si tratta più di cavalcare, ma di costeggiare il corso degli eventi, osservando, criticando, senza più scommesse, quelle scommesse che nella profondità della tua coscienza, o forse in quello spazio fluttuante tra conscio e inconscio, sai che sono perse in partenza.

Quindi, caro Giovanni, hai ragione, rimettiamoci a fare il nostro lavoro (che poi non è che lo avessimo abbandonato … ) , se non altro noi che se abbiamo preso delle cantonate è stato per troppo amore (per amore del mondo, se mi è consentito richiamare Hannah Arendt in queste piccole chiacchiere in libertà).

@sofiajeanne

2 thoughts on “Essere Gufi è la più bella libertà

  1. Pingback: L’autogol di Renzi sui gufi - Blog-VoxPopuli | Blog Economia | Blog Politica

  2. vero. anche se un mulo in mezzo ad un branco di asini sembra un cavallo non é detto che raggiunga il traguardo. si la politica deve tornare ad essere una cosa seria al di fuori fi logiche e analogie ippiche e calcistiche. basta innaffiare giardini altrui

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